Tournée in bicicletta di Angelo Maddalena per chiedere la liberazione di
Marco Camenisch.
ANGELO MADDALENA
MARCO COMENISCH
PIETRAPERZIA. Parte da Pietraperzia il 20 aprile e
arriverà a Lugano, la tournée di Angelo Maddalena, in bicicletta, per chiedere
la liberazione di Marco Camenisch.
Queste le
tappe della tournée: San Cataldo, Firenze, Lugano, Casal Monferrato, Milano, Sestri Levante,
Bologna e Torino, dove presenterà “Amico Treno non ti pago” alla Fiera del
libro.
Abbiamo
intervistato il dottor Angelo Maddalena, laureato in “Scienze della
Formazione” alla cattolica di Milano con
il massimo dei voti.
-Perché una tournée per Marco Camenisch?
-“Ho scritto il mio primo monologo teatrale prendendo
spunto dalla vicenda di Marco Camenisch, che è in carcere dal 1991, prima in
Italia e poi, dal 2002, in Svizzera. Quando scrissi il monologo, c’era stata da
poco la sentenza che stabiliva che Marco doveva uscire dal carcere nel 2011 o
al massimo 2012, ma così non è stato.
-Come mai non lo fanno uscire?
-Di fatto, anche se può sembrare strano a chi non conosce
l’ordinamento giudiziario svizzero, le accuse più “pesanti” degli ultimi anni
sono due: il fatto che scrive e riceve “troppe” lettere e il fatto di sostenere
che nel mondo esistono tensioni che possono portare a rivolte armate: basta aprire un giornale o guardare un
telegiornale per scoprirlo. Solo che egli lo dice da dentro un carcere; non si è
mai dissociato dalle sue azioni, che non hanno mai colpito persone ma solo cose:
strutture dell’industria elettronucleare in Svizzera, in un contesto in cui
migliaia di persone agivano in tal senso negli anni ’70.
Marco Camenisch
afferma che non ha intenzione di
riprendere una lotta armata ed ha avuto la buona condotta giudiziaria.
Marco si è anche
dichiarato disponibile ad ottenere il regime di semilibertà, o lavoro esterno.
-Quali le sue considerazioni?
-Marco è un anarchico e un ecologista radicale, non a caso
il libro con raccoglie i suoi scritti s’intitola “Acthung Banditen, Marco
Camenisch e l’ecologismo radicale”. Il grido della terra ferita e avvelenata
dall’industria nucleare e dal sistema industriale in generale, la coscienza
individuale viva e forte, tutto ciò rende la sua figura e la sua testimonianza
scomoda, “pericolosa”, ma è il “pericolo” dell’esistenza e della resistenza,
quello che ci portiamo dentro e molti di noi non riescono o non vogliono vedere
ed elaborare, e quindi chi lo fa anche per noi viene usato come capro
espiatorio.
Giuseppe Carà