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venerdì 15 luglio 2011

AFORISMA DELLA DOMENICA DI NICOLETTA NONNA 17 LUGLIOI 2011


AVARUS IPSE MISERIAE CAUSA EST SUAE “.
(Publio Siro)
LO STESSO AVARO E' CAUSA DELLA SUA STESSA INFELICITA'
 L'ANTROPOLOGA

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L’ avaro sostituisce il Dio Trino con il dio quattrino
Don Pino

Per quanto riguarda la vita di Publio Siro ci sono state tramandate, come del resto in altri casi, poche informazioni: probabilmente originario dell'Antiochia, fu prima schiavo poi liberto; visse nel I sec. a. C., negli anni che videro la Repubblica diventare un principato, fu contemporaneo di Cesare, Ottaviano, Marco Antonio, Virgilio , Orazio e Cicerone. Fu quello uno dei periodi più fiorenti della letteratura latina. Della sua produzione rimangono una raccolta di aforismi e citazioni, le “Sententiae”.
Tale aforisma ha come nucleo centrale quello dell'avaro e della sua stessa infelicità.
L’avarizia non fa parte di nessun manuale "diagnostico", eppure, da sempre, è considerata un male, un vizio capitale. Più che un male della psiche è un male dello spirito, un’incapacità di ampio respiro da parte dell'anima.
Il cuore dell’avaro è freddo e difficilmente viene scaldato dagli eventi della vita, i quali vengono affrontati esclusivamente attraverso una loro contabilizzazione in termini economici.
Così ogni elemento viene monetizzato e trasformato nel suo equivalente in denaro: quanto costa avere un figlio? Quanto costa sposarsi? Quanto costa ammalarsi? Quanto costa vivere?
L’avaro è una figura ormai consolidata della cultura, basti pensare all’Avaro di Moliere.
Per cercare l’avarizia dobbiamo osservare dentro di noi quei pensieri in cui associamo felicità e benessere materiale.
L’avarizia ci aiuta ad osservare un errore frequente, ormai diventato un luogo comune: quello di ritenere che la felicità possa essere acquistata o posseduta per sempre. L’illusione del denaro è quella che esso possa fornire o acquistare ciò di cui più profondamente abbiamo bisogno. La maggior parte delle persone sanno bene che l’equazione denaro=felicità è sbagliata, ma ,nondimeno, difficilmente sfuggono dal metterla in pratica. Nel film “Gandhi”, mentre egli realizza autonomamente i propri abiti ruotando lentamente un telaio, il Mahatma afferma: “I miei collaboratori non fanno altro che ripetermi quanto costa loro la mia vita di povertà”.
Per quanto concerne il Cristianesimo, l'avarizia é un peccato molto grave, uno dei sette vizi capitali. Il Vangelo insegna la povertà, la condivisione, la solidarietà, la caducità dei beni materiali. Cristo stesso chiede ai Suoi discepoli di rinunciare a tutti i loro possedimenti terreni, di lasciarsi dietro ogni cosa e di seguirlo. Egli non vuole che nulla si frapponga al discepolato. In Luca cap. 12 Gesù comanda ai farisei : “Vendete i vostri beni e dateli in elemosina; fatevi delle borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove il ladro non giunge e la tignola non rode”.
Gesù sfida al cuore stesso “il giovane ricco.” Egli dice: “Se vuoi ereditare il regno, allora va, vendi tutto quello che possiedi, e dallo ai poveri” (Lc 18:22). Questo episodio non termina con una nota felice. L’uomo non si converte. Se ne scivola via, insoddisfatto, perché possedeva molto e non se ne voleva certo privare. Amava troppo quel che aveva per lasciare tutto. Se ne va allora tutto triste, perché aveva molte ricchezze. Preferisce rinunciare alla propria vita eterna perché amava troppo le cose di questo mondo. L’avidità è idolatria, e gli costa la vita stessa. Anche a noi può costarci la Vita eterna se non mettiamo in pratica gli insegnamenti evangelici e la Parola di Dio.
Nicoletta Nonna